Ad Usum Fabricae - La costruzione del Duomo di Milano
Ad Usum Fabricae - La costruzione del Duomo di Milano
Questo articolo ricalca quasi integralmente l’intervento da me fatto al termine della conferenza dal titolo "Ad Usum Fabricae- La costruzione del Duomo di Milano" della Prof.ssa Mariella Carlotti, in occasione dell'evento annuale di Tirelli &Partners tenutosi il 30 gennaio 2013. L’intera conferenza è visibile qui.
Graditissimi ospiti, cari amici, cari colleghi,
Ciò che vorrei fare oggi è provare a condividere con voi le sensazioni suscitatemi da questa storia e cercare di capire come questa bellezza può essere portata nella nostra quotidianità.
Quello che provo adesso è un senso di gioia, una contentezza del cuore. Mi pongo dunque tre domande:
- Da dove viene questa gioia?
- Che senso ha?
- Come capirne il significato modifica il mio agire nell’oggi?
Credo che nella storia che abbiamo sentito, ciò che suscita in noi la gioia sia il confrontarci con la capacità di quelle donne e di quegli uomini di impegnarsi per qualcosa che trascendeva le loro vite, che le superava. Partecipare a un’opera che non si vedrà compiuta, significa lavorare per il bene comune. Nel caso del Duomo di Milano, la cui costruzione richiese molti secoli, addirittura per un bene comune di cui godranno generazioni lontanissime.
Il bene comune è apposto al bene proprio. Così grida il mondo da sempre. Ma si inganna!
Il nostro cuore invece è capace di riconoscere questa bellezza perché accordato per suonare e cantare quando incontra ciò che ci rende felici. La felicità è il nostro desiderio profondo e io credo anche il nostro destino. Noi non siamo mossi dalla razionalità – basta guardare la quantità di azioni assolutamente irragionevoli che abbiamo compiuto e compiamo. Noi siamo mossi dal desiderio di felicità.
Per questo l’economia, che suppone l’esistenza di questo fantasma che chiama homo economicus, uno zombie guidato nelle sue azioni dal solo profitto personale, è sempre più estranea, nemica in qualche caso della nostra vita.
Le nostre azioni esterne visibili sono dunque determinate dai desideri che portiamo nel cuore e non dalla razionalità. Il punto è però che nel nostro cuore c’è un po’ di tutto, c’è il Bene, ma c'è anche tutto il male. È essenziale perciò riconoscere i moti del cuore. Se questi ci restano ignoti, siamo semplicemente incoscienti. Non agiamo: siamo invece agiti, siamo agitati, da forze che non comprendiamo. I nostri comportamenti non raggiungono la soglia dell’Umano.
Tuttavia non basta avvertire l’esistenza di questi moti del cuore. Dobbiamo anche imparare a discernere se portano al Bene o al male. Distinguere l’uno dall’altro è ciò che rende responsabile la nostra azione perché le dà una direzione. "Essere responsabili" è dunque la capacità di indirizzare la nostra azione nel mondo verso il Bene. Solo se siamo responsabili possiamo essere liberi! La libertà è andare incontro al nostro desiderio e non solo ai nostri bisogni. La libertà non può essere solo la possibilità di scegliere tra diversi tipi di auto, di vestiti, di vacanze!
Noi sappiamo sempre di cosa abbiamo bisogno, ma il nostro desiderio è senza oggetto. Quando riconduciamo la nostra capacità di desiderare all’avere dei bisogni diventiamo schiavi delle cose, cose che invece sono state fatte per noi. Certo saremo schiavi ben vestiti, abbronzati e pieni di comodità, ma sempre schiavi resteremo. Dobbiamo dunque avere il coraggio di andare incontro alla nostra felicità e non solo al nostro piacere. Così facevano le donne e gli uomini che costruirono il Duomo. Vivevano in catapecchie, ma sognavano cattedrali!
Felicità e non solo piacere, dunque. Però non possiamo cadere nello sbaglio opposto. Dobbiamo saper riconoscere che il piacere è un bene, non un male! Riconoscere nel piacere il Bene significa avere rispetto per la nostra umanità. Non possiamo fare l’apologia della privazione, della castrazione. L'Uomo serio non è un castrato! È invece un uomo che può liberamente rinunciare al godimento immediato, come affermazione di una verità più ampia su sé stesso. La morale è il luogo di un sì, non l'elogio di un no; è una via attraverso la quale cerchiamo di realizzarci come uomini e donne, non una punizione.
Il piacere è dunque un bene. Ognuno di noi può però riconoscere dentro di sé, ha l’intima capacità di comprendere, che nella vita c’è dell’altro. Se ci fermiamo a riflettere, capacità che solo l’uomo ha - l’animale non riflette, è guidato dall’istinto - sentiamo che oltre a noi stessi, al nostro piacere, ai nostri bisogni, c’è dell’altro. L'Uomo ha dentro a sé la capacità di eccedere sé stesso, il suo bisogno, la sua stessa vita, come testimoniano da sempre e per sempre innumerevoli uomini e donne sconosciuti, dei quali quelli famosi sono solamente l'avanguardia più visibile.
L’esperienza di questa eccedenza, di questo qualcosa che ci fa più grandi di come pensavamo di essere, è però indissolubilmente legata in questa vita all’esperienza del nostro limite. Da un lato siamo capaci di sentire una grandezza che ci trascende, dall’altro sentiamo la nostra difficoltà di viverla, di compierla. È l’esperienza che qualcuno ha chiamato del “non tutto”. Espressione bellissima perché da un lato dice del nostro limite, ma dall’altro della nostra tensione verso la pienezza.
Di fronte a questo riconoscimento di essere un "non tutto", l'uomo ha due strade percorribili.
La prima è l'accettazione di questa essenza, che ci lega al ri-cordare, al riportare al cuore, che la nostra possibilità in questo mondo di fare esperienza di una pienezza è legata alla relazione, all’incontro con l'altro da noi. Incontro pieno di gioie certamente, ma anche incontro denso di fatiche quotidiane. Io credo che ogni possibilità di vivere un inizio di vita pacificata, in pace con sé stessi, con il proprio corpo - che ci ricorda che non siamo Carl Lewis, Alain Delon, né Angelina Jolie - con il proprio cervello - che ci ricorda che non siamo Rita Levi Montalcini o Sigmunt Freud - il proprio cuore – che ci ricorda non siamo Gandhi o Madre Teresa di Calcutta - e con gli altri, sia legata all'accogliere il nostro essere un "non tutto".
L'altra strada è quella che è sotto gli occhi di tutti: la distruzione. L'uomo che non accetta di essere un "non tutto" tenta invano di fare l'esperienza del tutto distruggendo, saccheggiando, ingoiando quanto più può in beni e persone. Tutti gli eventi di distruzione di cui ascoltiamo ogni giorno - la violenza sulle donne, sui genitori, sui figli, sugli altri esseri umani in generale, una violenza fisica, ma anche verbale, di modi - sono nient'altro che un tentativo incosciente di essere un tutto in noi stessi, di fare l'esperienza di una pienezza al di fuori di una relazione con l'alterità.
Vorrei ora riflettere sull’oggi, sul mondo in cui viviamo per posarvi lo sguardo del cuore gioioso che ho in questo momento.
Da sempre l’uomo ha la tendenza guardandosi indietro a considerare ciò che lo ha preceduto migliore dell’oggi. Noi non facciamo eccezione e per una valida ragione, credo.
Un amico ha scritto recentemente che il mondo ha subito cambiamenti maggiori dagli anni ’60 ad oggi che nei precedenti 20.000 anni! Un mondo di cambiamenti continui che tocca le nostre vite e non sempre in maniera indolore. All’origine di questa nostra epoca c’è la tecnologia che tutto cambia. La tecnologia è cosa buona in sé, ma che per la potenza che ha sulla vita di noi uomini ci chiama tutti più forte alla responsabilità. Anche se tutto cambia, però non siamo dispensati dal cercare una vita sensata e da aiutare con il nostro esempio ed il nostro aiuto gli altri a fare altrettanto.
Le generazioni passate ebbero nella tradizione uno strumento straordinario per interpretare il presente e presagire il futuro. È opportuno riflettere però che la maggiore prevedibilità si accompagnava ad una libertà più limitata. Si moriva perlopiù essendo ciò che si era nati. Contadini o principi.
Dagli anni sessanta in poi non è più così. La realtà oggi è fluida, liquida ed il futuro è un orizzonte aperto a 360°. È l’epoca straordinaria della massima libertà, epoca in cui niente è scontato. È possibile tutto ed il suo contrario. Sta a noi sapere far uso di tutti i mezzi a nostra disposizione senza che questi mezzi compromettano la nostra Umanità.
L'economia va unificando il mondo in un’unica cultura, ma il tipo di cultura che vogliamo dipende dal tipo di economia che usiamo. Oggi imperversa l'economismo che è l'economia del business non finalizzata all'uomo, ma a sé stessa. Per questo oggi più di ieri non possiamo chiudere gli occhi sulla mancanza di giustizia, primo problema del mondo che tutti li include. Mi fa molto riflettere che nella Bibbia il contrario della giustizia non sia l’ingiustizia, bensì la malvagità.
Forse avere il coraggio di pronunciare che certi stili di vita, che opprimono altri uomini siano malvagi può farci aprire gli occhi e convertire l’azione.
La prima ingiustizia è quella del lavoro globalizzato che, dopo grandi battaglie di civiltà, torna ad essere, in molti luoghi e per molte donne e uomini, malcelata schiavitù indotta dal sovrano delle nostre vite: il profitto!
Credo dobbiamo uscire dalla logica che la giustizia dell'economia e dei nostri comportamenti economici si misuri con il rispetto di codici di comportamento, di condotta, con la non infrazione di leggi, per abbracciare invece quella che la vera giustizia si misura con l'andamento delle relazioni tra le persone.
Chiudo con un pensiero sulla società italiana.
È necessaria oggi una impennata generale di orgoglio e di indignazione per uscire da questa agonia della nostra società. Ci serve sentire l’orgoglio per ciò che c'è da fare, nella fiducia che realizza il bello che desidera, invece che nella paura che realizza solo il male che teme. E ci serve l’indignazione verso ciò che invece non va fatto.
Il miglior servizio che possiamo fare a noi stessi e agli altri è svolgere la nostra professione con responsabilità e attenzione al bene comune. Riappropriamoci dunque del gusto di impegnarci per il bene comune, dell'entusiasmo che contribuire al bene comune suscita nel nostro cuore, lasciando che sia questo a guidare la nostra azione.
Ogni giorno. Come ai tempi delle cattedrali.
Marco E. Tirelli
[Conferenza"Ad Usum Fabricae - La costruzione del Duomo di Milano" del 30/01/2013]